Maurizia Piazzi

Il realismo lirico di Maurizia Piazzi

Gian Luigi Zucchini - Mi sono a lungo interrogato in quale filone artistico potrebbero essere collocati i dipinti di Maurizia Piazzi, di piacevolissima visione e di un’intensità cromatica che colpisce e avvolge al tempo stesso lo sguardo, con un senso di pacata eleganza e distensivo equilibrio.
Potrebbero essere vicini all’iperrealismo, per via di quella riproduzione dell’oggetto così nitida e pulita che lo rende perfetto nella sua similitudine al vero; però manca, dell’iperrealismo, l’accento di impersonalità, di freddezza, che caratterizza le opere di questa corrente artistica.

Sono più tentato di accostarli ancora al realismo magico, anche perché ritrovo molte delle categorie che Massimo Bontempelli rilevava in questo movimento: Precisione realistica di contorni solidità di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un’atmosfera di magia che faccia Sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta. Ma, mentre la prima parte della definizione sembra abbastanza pertinente, nella seconda ci si allontana. Le opere di Maurizia non sono immerse nella misteriosa luce dell’inquietudine, ma in quella serena della pacatezza quasi metafisica. E qui si legge forse la lezione di Morandi, estranea peraltro a qualsiasi corrente, isolata forma di meditazione artistica attraverso alcuni poverissimi oggetti, trasformati in metafore esistenziali dal silenzio atemporale in cui sono immersi.
Eppure, in Maurizia, c’è qualcosa di altro ancora, e di diverso da tutto ciò. Un realismo che si è formato e cresciuto nella lungamente penetrata meditazione di opere antiche, classiche: larvate citazioni caravaggesche, echi di opulenze barocche, peraltro ripulite e quasi scarnificate dal rigore di una linea tersa e pulitissima; e poi la forza dell’esatto e preciso disegno; e infine la perfezione dell’equilibrio tra e forme. I fiori, a ben osservare, sono disposti con estrema cura, in un esile gioco di spazi, dovuti all’esigente cura con cui l’artista li colloca prima di riprenderli nella loro freschezza di colore e di luce; la frutta, pur nel suo rigoglioso turgore, è discretamente colta nella lucentezza e nello sfavillio cromatico che la contraddistingue, senza quella ridondanza di materia che caratterizzava, per esempio, i dipinti ìmpressionistici o quelli di calda reminiscenza barocca di De Chirico.
Vi è dunque una sottile, invisibile trama di sentimenti e di emozioni che investono l’oggetto e lo restituiscono con un qualcosa di più, che è la felicità dell’artista manifestatasi nel fare; nello sciogliere cioè, mediante il colore largamente disteso sulla tela, la carica di intensità creativa che spinge non tanto all’invenzione di forme e di modalità nuove e originali, quanto a riversare nel prodotto artistico quel segreto e indecifrabile entusiasmo che preme dall’interno nel corso del lavoro, e che si realizza poi nella piacevolezza serena della visione, I fiori e i frutti di Maurizia sono invasi dalla luce pacata del giorno, senza allusioni di inquieti turbamenti né di freddezze impersonali, liricamente accesi con discrezione nella ben graduata felicità del colore, appagamento dell’occhio che può soffermarsi a lungo a osservare immerso nella chiara serenità di quei pulitissimi profili.