Maurizia Piazzi

Maurizia Piazzi per Giorgio Morandi

Gian Luigi Zucchini  – È per lo meno strano iniziare il commento ad una mostra in modo dubbioso, ma debbo proprio farlo: mi pare che la pittura di Giorgio Morandi abbia esercitato su Maurizia Piazzi uno straordinario potere terapeutico ed ammaliatore, che va, suppongo, al di là di un semplice interesse artistico ma penetra direttamente nell’inconscio, o nell’animo, legando per sempre al fascino discreto dell’opera la sensibilità intellettuale ed estetica della pittrice.

È così? Non è così? Non voglio assolutamente parafrasare il Croce il quale, a proposito del Pascoli, non sapeva dire se la sua fosse poesia o non poesia. Il dubbio a me pare che potrebbe diventare certezza, seguendo però il ragionamento che l’opera di Maurizia – ed in particolare la mostra in questione – mi suggeriscono. Lei stessa ha più volte affermato che la pittura di Morandi l’ha catturata fin da adolescente per la sua pacatezza, il suo silenzio. Volendo rappresentare questo estremo e metafisico sentimento, ha cercato e cerca di utilizzare oggetti assai simili a quelli utilizzati dall’artista bolognese per entrare nel suo mondo e rileggerlo però secondo la propria personale emozione. Dunque, si potrebbe pensare, una specie di copia? Assolutamente no; anzi, sostengo che tra la pittura di Morandi e quella di Maurizia c’è una discreta lontananza, e si nota certamente che le opere sono frutto di due personalità diversissime e forse addirittura in contrapposizione. Il mondo di Morandi è silenzio, ma anche lontananza assoluta nel tempo, fuori dall’attualità e dalla storia. I suoi oggetti sono calati in una rarefatta atmosfera di luce del tutto inattuale e mai turbata da tremiti, ombre, indiscrete vibrazioni di colori o eco evocativo di sentimenti o di emozioni. La opere di Maurizia invece sono collocate entro i paramentri di una lucida ragione che rende gli oggetti rigorosamente precisi nella loro forma, quasi un iperrealismo razionale che il colore ravviva e schiarisce, seppure in modo assai misurato e corretto. Non sono gli ocra, i marroni o i gialli opachi quelli di Maurizia, ma sono i bianchi e i rossi, o i bianchi e gli azzurri i colori che in lei prevalgono, tagliando e spezzando il silenzio ovattato delle lontananze e facendolo invece squillare con la voce algida della contemporaneità. La sua pittura è un’elaborazione del pensiero di Morandi, non una citazione o una memoria della pittura di lui, così estranea al tempo e alle cose stesse, nonostante stiano lì dipinte. Ma, dietro le forme, dietro la velatura del tempo offerta dalla polvere caduta, che cosa c’è, in Morandi? È forse lo stesso sentimento, che ha suggerito le opere di Maurizia Piazzi? No, credo di no. Anzi, sono certo di no. Maurizia ha letto Morandi, lo ha amato, lo ha studiato: ma da quegli stimoli è nato un modo diverso di rappresentare gli oggetti, che è quello che lei sente e vive con la sua cultura, il suo ragionamento, la sua concretezza esistenziale. Valga, a conclusione, un solo esempio. Nell’opera “Uno sguardo nel silenzio” Maurizia rappresenta un mazzetto di rose quasi appassite, cadenti sul bordo. Ne ha rappresentate altre, in opulenta fioritura. Ma queste sono più “morandiane”, con la differenza non solo che quelle di Morandi erano fisse in un loro raccolto tremore come le ginestre leopardiane, ma soprattutto che la vita di quelle rose era già spenta prima di appassire, e restavano simbolo dell’immutabilità metafisica del tempo. Quelle di Maurizia invece sono la rappresentazione di un trapasso reale pervaso della consapevole, lucida tristezza del transito. Che sia poi delle rose, o della vita, questo non è neppure la pittrice stessa che potrebbe dirlo: forse, potrebbe farlo (ma non so se sia possibile) il suo inconscio, che si realizza nell’impulso creativo, e quindi in un modo genuino ed originale di sentire l’arte e la stessa vita: e che in tal modo viene espresso in pittura. Certo, in questa mostra, una gratitudine profonda per il Maestro, che ha saputo, con la sola voce delle opere, suscitare percorsi suggestivi nati dal fecondo seme del silenzio.